LETTERA INVIATA AL QUOTIDIANO LA SICILIA E CITATA NELL'ARTICOLO RIASSUNTIVO DEL 21 LUGLIO 2009

Autore: Luigi Giuseppe GENNARO

Controfirmano: alcuni allievi, genitori e docenti dell'Istituto Statale d'Arte

 

Gentili signori,

è da ben tre secoli che dei giovani catanesi affollano via Crociferi; nel settecento il perché era ovvio: i Padri Gesuiti, figli della Controriforma, vi avevano aperto - come in tutte le principali città del Regno - un prestigioso Collegio. Questa scenografica via tardo barocca da sempre assonnacchiata per la tacita vita dei monaci, si è risvegliata ogni giorno lavorativo per trecento anni al suono delle voci dei giovani allievi: nessun palazzo, benché artisticamente rilevante, poteva ospitare un Istituto d’Arte più del vecchio Collegio, espropriato già da Ferdinando I di Borbone in séguito alla soppressione dell’Ordine nel 1779, e da allora tra alterne vicende Collegio delle Arti. Tra quei muri si respira davvero il senso di profonda commozione che gli antichi architetti imprimevano coscienziosamente in ogni struttura. Scale, corridoi, logge, aule, cortili, fu tutto costruito per un solo ed unico fine, quello che rese Mater et Magistra la Chiesa, e che ora rende asinus in cathedra lo Stato: l’educazione.

Se oggi una scuola avesse un decimo della salubrità di questo edificio finirebbe sulle prime pagine dei giornali. Gli allievi dell’Istituto, votati a quelle che furono le sacre arti care agli dèi, ma che tanto poco contano in questo secolo di merletti al poliestere, hanno tenuto in vita questo palazzo nonostante i tanti secoli che li separano dai loro predecessori; se fare scuola è cambiato, e cambiato in parte può anche essere il rapporto con l’edificio scolastico, è pur vero che forte è il rispetto che soprattutto le ultime generazioni hanno nutrito nei confronti di questo illustre monumento. Nonostante la prevedibile usura presente in una struttura usata ininterrottamente negli ultimi quarant’anni con pochi o nessun intervento di restauro, è cosa indubitabile che gli studenti abbiano onorato con il solo essere presenti il fine unico ed insostituibile di questo edificio, il quale è e deve restare una scuola.

Certo, come tutti i palazzi antichi ha problemi di statica; ma non di certo derivanti dal terremoto del 1990, come su questo giornale si è letto: i dati dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia pubblicati qualche tempo fa nel volume riassuntivo Catania terremoti e lave (Editrice Compositori, ISBN 88-7794-267-3) non riportano alcun danno a questo edificio; si deve quindi ritenere che eventuali danni alla muratura debbano essere attribuite al quadro fessurativo preesistente, ad esempio quelli, riparati con la spesa di 500 onze, che l’allora Collegio delle Arti subì con il terremoto del febbraio/marzo 1818. Del resto la fabbrica sembra molto solida: nel sisma del 1848 gli unici danni furono quelli causati della testa della statua di San Luigi Gonzaga che cadendo da una delle chiese vicine sbreccò un angolo di muro.

Eppure l’edificio - dicono - oggi sarebbe cadente. Ci sarebbe da chiedersi come mai non si sia intervenuto allora, anche poco alla volta e chiudendo solo alcune parti dell’edificio, mentre in questi giorni si auspica il restauro totale di una struttura oggettivamente colossale. Ed ecco, improvvisamente, l’uscita risolutiva: l’Istituto d’Arte fuori, fuori dall’antico Collegio, fuori da via Crociferi, fuori addirittura dalla città, relegato in fatiscenti prefabbricati di periferia; si, perché è più facile parlare di decentramento che di esilio in zone, quali fossa della creta, via Palermo e Librino, che nonostante ogni eufemismo e qualsiasi tentativo di “salvataggio” mediatico sono e restano le parti più degradate e pietose dell’urbanistica cittadina.

Via Crociferi sarà così privata della vitalità ardente della gioventù catanese per divenire definitivamente un museo a cielo aperto, fatto di scheletri di chiese in gran parte inutilizzate da anni e di macchine posteggiate dai fruitori dei vicini uffici e sedi universitarie. Un deposito di colonne sbreccate, cancelli arrugginiti, pietre annerite dal tempo e spaccate dall’onnipresente gramigna; sarà un piccolo paradiso di decadenza che farà perdere del tutto a queste antiche mura qualsiasi utilità, riducendo il vecchio Collegio ed i suoi colleghi monumentali a mero arredamento antiquario della nostra città morente. Se è questo che vogliamo per Catania, se desideriamo vederla gradualmente privarsi della vita quotidiana dei cittadini a vantaggio di una progressiva mummificazione degli edifici più prestigiosi, sia pure; ma se solo ci sorge il dubbio di rischiare così di rendere questa città un ennesimo cranio spolpato, non possiamo non gridare di fronte alle istituzioni a difesa di un patrimonio umano, culturale e sociale che non frutta danaro ma nobiltà d’animo.

Catania, Lunedì 20 Luglio 2009