SALVIAMO LA FACOLTA' DI LINGUE DELL'UNIVERSITA' DI CATANIA
Il Rettore dell'Università di Catania sta imponendo in questi giorni (Maggio 2010) il trasferimento dell'intera Facoltà di Lingue e Letterature straniere nel costruendo polo universitario ragusano, sostanzialmente regalandola ad una nuova Università. Da una notizia recente: "Il Rettore dell’Università di Catania chiarisce che, anziché Lingue, avrebbe preferito lasciare a Ragusa la facoltà di Agraria, ma aggiunge: «Ho trovato un muro». Delusione tra gli studenti: poche le domande che hanno trovato risposta, parecchi i momenti di tensione. Il Magnifico taglia corto: «Delle sorti della Facoltà non devono occuparsi gli studenti»" (fonte: il quotidiano on-line Step1).
Qui pubblico la lettera inviata quest'oggi a La Sicilia. Mi auguro la pubblichino. Se seguite i singoli link trovate conferma alle notizie che ho riportato (non si sa mai, tutti possiamo sbagliare!).
LETTERA INVIATA AL QUOTIDIANO "LA SICILIA" IN DATA 11 MAGGIO 2010
Egregio Signor Direttore,
quando Catania vide perduto per sempre il titolo di capitale, le venne in
soccorso il Magnanimo Alfonso, che l'anno 1434 con apposita bolla conferì a
“Catana tutrix Regum” (Catania, la tutrice dei Re) il privilegio di ospitare
l'unica Università siciliana. Il trattamento di favore e di benevolenza regia
perdurò formalmente inalterato per quasi cinque secoli: ben lo sanno Messina e
Palermo, la prima costretta a spacciare per Università un comune
collegio
gesuitico (dello stesso tipo di quello ospitato nel conteso plesso di via
Crociferi, per essere chiari), la seconda a brigare fin quasi all'Unità d'Italia
per vedersi concedere una ben misera "Accademia degli Studi". Del resto, se
pensiamo che attualmente nel nostro paese esistono solo tre Politecnici, e sono
scuole di vera eccellenza in Europa, forse è ancora possibile sostenere la
validità dell'accentramento didattico, già peraltro imposto da Federico II con
l'Università di Napoli, la prima della storia ad essere fondata dallo Stato.
Oggi invece, almeno a quanto si apprende dalle correnti bagarre, godere del privilegium studiorum non è più un segno di merito ed un onere di grandissima
rilevanza nazionale, bensì un "diritto" accampabile da qualsiasi comunità
cittadina più o meno popolosa, un po' come la distribuzione della titolarità
provinciale in base al numero degli abitanti piuttosto che secondo l'opportunità
storica o geografica. Che una città ambisca a divenire sede universitaria è
d'altronde una cosa ben comprensibile, vista ormai la massificazione di questo
genere di studi con la conseguente mole di traffici economici derivanti dai
consumi in loco della popolazione studentesca; che questo fenomeno sia
appoggiato o addirittura favorito dalle Università stesse, forse lo è molto
meno. Certamente è assurdo che sia Catania a farsi portavoce di progetti simili,
addirittura caldeggiando lo smembramento di parte del corpo universitario
pretendendo di trasferire un'intera facoltà con armi e masserizie giù per il Val
di Noto, cedendo agli affetti della popolazione ragusana cui il Magnifico
Rettore ha dichiarato d'essere particolarmente sensibile. A quanto pare tanto
grande è il sentimento di Ragusa nei confronti della Facoltà di Lingue (che a
Catania, stando ai dati, si trova proprio bene), da spingere proprio il Rettore,
massima autorità universitaria, a rimbottare gli studenti intimando quasi
l'ottemperanza ad un voto di religiosa obbedienza. Non si può che prevedere,
qual segno di coerenza, che l'amministrazione universitaria voglia tenere
altrettanto in conto i cospicui contributi annualmente versati dagli studenti,
rifiutandoli al pari del loro manifestato avviso su come debba essere
saggiamente compiuta l'attività didattica; vorrà evitare quindi di rispondere il
Magnifico Rettore, riprendendo il detto di Vespasiano, che “pecunia non olet”.
Perché, fino a prova contraria, dai tempi dell'Almo Studio di Bologna
l'Università è stata fatta per i discenti, e non per i docenti.
Luigi Giuseppe Gennaro, studente della Facoltà di Giurisprudenza