VERSIO ITALICA - Come si traduce?

Diamo qui alcuni brevissimi cenni sui varii sistemi di traduzione dal Latino, validi in generale per gran parte delle lingue antiche studiate a scuola. Sono trucchi del mestiere non sempre conosciuti...

Esistono due tipi di versione dal Latino: una letterale, che implica una quasi esatta corrispondenza tra testo Latino e testo italiano, ed una comunemente della ad sensum, cioè a senso, che non tiene in conto tanto la puntuale traduzione dei termini quanto il significato generale del testo e/o del suo messaggio. Quest'ultimo metodo, anche se più facile, non è molto amato nelle scuole poichè se ne fa in genere un abuso: in poche parole molti traduttori moderni finiscono con il fare una vera e propria parafrasi mettendo a volte in bocca all'autore Latino espressioni molto lontane da quelle originali, od in ogni caso di dubbia interpretazione, dando sì il senso dello scritto, ma perdendo irrimediabilmente la forma. Anche riguardo primo metodo è bene dire che non sempre esiste un significato esatto per ogni parola, anzi, di alcune spesso e volentieri si ignora davvero la funzione. Un esempio è il termine Latino autem, generalmente preso come un sed più tenue, ma che spesso e volentieri da "però" finisce col significare "e poi", "quindi", "invece", ecc., con una evidente confusione; in realtà il termine indica una banale contrapposizione, come il de greco, e come in quel caso non se ne può dare una traduzione puntuale poichè il termine in Italiano non esiste. Lo stesso vale per at, che in effetti dovrebbe essere il grado forte di sed, sempre una sorta di "ma" quindi, che però spesso e volentieri fa come autem. In poche parole: tradurre letteralmente non sempre è possibile, e poi il testo non raggiunge mai una compostezza tale da renderne agevole la lettura come si farebbe di un testo italiano.

Ma ecco in pratica una prova di traduzione, da Sallustio, De bello Iugurthino (la guerra contro Giugurta), in cui lo scrittore Romano descrive la situazione familiare della Casa Reale di Numidia.

 

Micipsa Adhèrbalem et Hièmpsalem ex sese genuit Iugurthàmque,

Micipsa Adèrbale e Ièmpsale da sè stesso generò e Giugurta

filium Mastanabàlis fratris, eòdem cultu quo liberos suos domi habuit.

[il] figlio del fratello [di lui] Mastanabàle, con la stessa cura con la quale [aveva] i suoi figli [lo] ebbe in casa

 

Da subito è evidente un certo attrito nella parte iniziale della versione, che ho subito corretto con due integrazioni che chiariscono la paternità di Giugurta, figlio del fratello di Micipsa e quindi nipote dello stesso. Nella seconda parte c'è un verbo sottointeso (il contesto è più che chiaro, visto che già viene ripreso in funzione del primo complemento oggetto), mentre il primo complemento oggetto ([lo]) l'ho inserito per i non addetti ai lavori: in verità è Iugurthamque il complemento oggetto vero della frase, che quindi va risistemata logicamente (in Italiano non esistono i casi: la posizione delle parole ne determina il valore sintattico), ed otteniamo:

 

Micipsa da sè stesso generò Adèrbale e Ièmpsale ed ebbe in casa Giugurta,

[il] figlio del fratello [di lui] Mastanabàle, con la stessa cura con la quale [aveva] i suoi figli

 

Il senso ora è molto più evidente. La nostra versione letterale è completa, non si può fare di più. Senonchè al leggere una simile cosa non dico che ci si annoi, ma di certo non si resta convintissimi della forma di tutto il discorso. In particolare la seconda parte (cura ... i suoi figli) suona malissimo in Italiano, come anche il generò da sè stesso, che se concettualmente è chiarissimo in realtà non vuol dire nulla (e ci mancherebbe!). Ecco allora una traduzione ad sensum:

 

Micipsa ebbe come figli Adèrbale e Ièmpsale e trattava Giugurta,

figlio di suo fratello Mastanabàle, come fosse uno dei suoi figli

 

La differenza c'è, ed è più che evidente. Quanto più la prima traduzione è vicina e aderente all'originale pensiero di Sallustio, tanto più questa è vicina al nostro linguaggio comune, ed al nostro modo di pensare. Le integrazioni non sono evidentemente necessarie: infatti se è ad sensum la nostra versione non ha proprio nessun obbligo di giustificare puntigliosamente ogni singola aggiunta, poiché si tratta di una vera e propria ricostruzione linguistica, che permette(rebbe) anche l'eventuale modifica di modi di dire, frasi fatte e proverbi perché siano più simili al nostro linguaggio.

Oggi la discussione sul modus vertendi è in pieno sviluppo, e ogni insegnante sta prendendo coscienza che oggi non basta più insegnare solo periodi e complementi, ma bisogna per forza integrare nella materia anche una buona dose di tecnica e pratica sul campo, applicata a frasi come questa. Purtroppo non esistono ad oggi dei validi mezzi, e solo in poche antologie si possono leggere consigli di traduzione a volte molto opinabili o comunque non sempre utilizzabili.

 

Espressioni da non modificare

Di seguito elenchiamo una serie di modi di dire latini e parole che è meglio non modificare:

merhercole (anche altre varianti) = per Ercole! (e non "Dio mio" e simili)

o dei boni! = o dio buono!/o buon dio! (e non "Per Dio" ecc.)

me miser! = me misero! (e non "povero me")

fato = per volere del Fato (e non "per caso" e simili)

taberna = taberna o taverna (e non "ristorante")

otium = ozio, pace, quiete, diletto (e non "riposo" o "noia")